La domanda sembra semplice, ma ogni volta che torna al centro della scena politica provoca tensioni, polemiche e interpretazioni opposte: chi è “ricco” oggi in Italia? La discussione si è riaccesa dopo l’intervento del senatore e giornalista Tommaso Cerno, che ha criticato duramente l’idea di considerare “alto reddito” chi guadagna intorno ai 60.000 euro l’anno. Secondo Cerno, questa visione si baserebbe su criteri ormai superati e su un paniere di riferimento lontano dalla realtà economica e sociale attuale.
Il botta e risposta ha fatto emergere una frattura profonda: non si tratta solo di tasse, ma di un vero e proprio scontro tra modelli di società e visioni economiche inconciliabili.
Il nodo dei 60.000 euro: reddito medio o reddito alto?
Il punto di partenza del dibattito è semplice: 60.000 euro lordi annui rappresentano davvero un reddito “da ricchi”?
Secondo alcune posizioni politiche, questo livello di reddito colloca una persona nella fascia più alta della popolazione, e quindi dovrebbe contribuire di più alla fiscalità progressiva. Altre voci, invece, sottolineano come il costo della vita nelle grandi città, il peso del fisco italiano e l’aumento generalizzato delle spese ridimensionino molto quella cifra.

In effetti, 60.000 euro non sono la condizione economica della maggioranza degli italiani, ma non equivalgono neanche a uno stile di vita definibile “di lusso”. Il dibattito si concentra quindi su una domanda più complessa: dove si colloca oggi la vera soglia della ricchezza?
La critica di Tommaso Cerno: “Un paniere che non esiste più”
Cerno ha denunciato una presunta distorsione nella percezione politica del reddito, affermando che alcuni modelli usati per definire la “ricchezza” sarebbero legati a un’idea di società superata. Ha parlato ironicamente di un “paniere ISTAT del 1800”, per indicare l’inadeguatezza di alcune metriche adottate nel confronto pubblico.
La sua posizione è chiara: in un Paese dove il ceto medio è sotto pressione, etichettare come “ricco” chi guadagna un reddito professionale stabile rischia di alienare proprio quella fascia che sostiene gran parte del gettito fiscale. Secondo questa lettura, servirebbe aggiornare il modo in cui vengono definiti i livelli di reddito, tenendo conto dell’inflazione, del costo della vita e dell’evoluzione dei consumi.

Progressività fiscale: un confronto tra visioni del mondo
Al di là del singolo numero, il dibattito tocca un tema centrale: come deve essere strutturato il sistema fiscale italiano?
Il confronto tra sinistra e destra si concentra su due modelli:
-
approccio redistributivo, secondo cui chi guadagna di più deve contribuire maggiormente alla spesa pubblica, per garantire equità sociale;
-
approccio orientato alla crescita, che considera eccessive alcune aliquote e sostiene che abbassare la pressione fiscale possa stimolare investimenti, consumi e occupazione.
La questione non è puramente tecnica: riguarda la visione di ciò che dovrebbe essere la società italiana nel futuro. Da un lato c’è chi vede la progressività come strumento per ridurre le disuguaglianze; dall’altro chi teme che un’eccessiva tassazione penalizzi il ceto produttivo.
Un Paese a due velocità: Nord e Sud, città e province

Il tema della “ricchezza” in Italia non può prescindere da un’analisi territoriale. Vivere con 60.000 euro all’anno a Milano, Roma o Padova non ha lo stesso impatto che vivere in zone con costo della vita più basso. Affitti, trasporti, servizi, energia e alimentari influenzano profondamente il potere d’acquisto reale.
Per questo molti economisti suggeriscono di distinguere tra reddito nominale e reddito reale, evidenziando differenze che possono arrivare anche a migliaia di euro all’anno.
Una battaglia destinata a continuare
Il dibattito su chi sia “ricco” in Italia non è una semplice disputa numerica: è lo specchio di un Paese attraversato da tensioni economiche e culturali. La discussione sollevata da Tommaso Cerno ha messo in evidenza una spaccatura profonda sulla gestione delle tasse, sul ruolo del ceto medio e sulla direzione in cui dovrebbe muoversi l’economia italiana.
Quel che è certo è che la questione non si spegnerà presto: sarà uno dei temi centrali del confronto politico nei prossimi anni.