Il Portogallo è sotto shock dopo un annuncio che nessuno avrebbe mai immaginato: un giovane uomo si è presentato alle autorità dichiarando di essere Rui Pereira, il bambino scomparso misteriosamente nel 1995. A quasi trent’anni dalla sua sparizione, la notizia ha scatenato un’ondata di emozioni e interrogativi in tutto il Paese.
Secondo quanto riferito dalla Polícia Judiciária, l’uomo — ora trentacinquenne — si è recato spontaneamente in una stazione di polizia di Coimbra, affermando di avere ricordi frammentati della sua infanzia e di un presunto rapimento. Le autorità, sorprese dalla precisione di alcuni dettagli, hanno immediatamente disposto un test del DNA per verificare la sua identità.

I risultati preliminari hanno lasciato tutti senza parole: le analisi genetiche mostrerebbero una compatibilità parziale con il DNA della famiglia Pereira. Questo elemento ha riacceso la speranza che, dopo tre decenni, la verità possa finalmente emergere.
La madre di Rui, Filomena Duarte, ha reagito con profonda emozione. “Non so cosa pensare,” ha dichiarato ai giornalisti, tra lacrime e tremore. “Il cuore mi dice di crederci, ma la mente mi impone cautela. Non voglio illudermi ancora.”

Gli investigatori, pur confermando la possibilità di una corrispondenza genetica, invitano alla prudenza. “Siamo di fronte a un caso complesso,” ha spiegato l’ispettore Miguel Fonseca. “Le prime analisi non bastano a confermare un legame biologico certo. Serviranno ulteriori test e verifiche internazionali.”
Nel frattempo, i media portoghesi e internazionali si sono concentrati sul caso, rilanciando teorie, ipotesi e vecchie piste mai del tutto chiarite. Alcuni esperti ritengono possibile che il giovane abbia vissuto per anni sotto un’altra identità, forse in un contesto isolato o manipolato. Altri, invece, sospettano una truffa organizzata per ottenere visibilità o denaro.

La notizia ha acceso i social network, dove l’hashtag #IlRitornoDiRui è diventato virale in poche ore. Migliaia di utenti condividono messaggi di speranza, mentre altri chiedono trasparenza e rispetto per la famiglia.
Mentre il DNA parla e il mistero si infittisce, il Paese trattiene il respiro. Potrebbe davvero essere lui, il bambino scomparso trent’anni fa? Oppure si tratta di un inganno che riaprirà ferite mai guarite?
In un silenzio carico di emozioni, Filomena Duarte attende il verdetto della scienza. “Se è davvero lui,” ha detto, “non smetterò di ringraziare Dio. E se non lo è… continuerò comunque a cercare mio figlio.”
Una frase semplice, ma capace di riassumere trent’anni di dolore, fede e mistero.